Gli “Airglows” dell’alta atmosfera e i presunti UFO del passato

Il 4 luglio, dopo averlo ampiamente annunciato, la rivista di geofisica Geophysical Research Letters ha pubblicato un articolo interessante anche per noi: si intitola WINDII airglow observations of wave superposition and the possible association with historical “bright nights” ed è firmato dai geofisici Gordon G. Sheperd e Young-Min Cho.

Si occupa dei fenomeni di airglow,  ossia delle debole emissioni luminose generate da processi propri della fisica dell’alta atmosfera e che per primi furono descritti in maniera chiara a sufficienza dal fisico svedese Anders Ångström.

L’articolo presenta i risultati ottenuti da un lungo studio sui dati raccolti grazie ad un interferometro montato sull’Upper Atmosphere Research Satellite (UARS), un grande satellite NASA che fu attivo fra il 1991 e il 2005. Sheperd e Cho sono stati in grado di offrire una spiegazione sul perché in certe occasioni gli airglow diventano più luminosi, sino ad essere osservabili ad occhio nudo con una certa intensità anche a latitudini relativamente basse. E’ quanto si verifica quando in alcuni strati dell’atmosfera avvengono alcune reazioni chimiche i cui meccanismi i due geofisici esplorano (ad esempio, il verde degli airglow è dovuto alla capacità della luce solare di separare l’ossigeno molecolare lì presente in singoli atomi di ossigeno, separazione cui fa seguito la ricombinazione degli atomi che a quel punto liberano l’energia in eccesso sotto forma di fotoni della parte verde dello spettro visibile).

Forse in certi rarissimi casi può darsi che aree limitate di cielo illuminate dagli airglow abbiano generato qualche avvistamento UFO. Come causa di errore erano stati presi in considerazione più volte, nel passato, dagli ufologi di orientamento scientifico.

Tuttavia, nell’articolo di Sheperd e Cho c’è una parte che colpisce proprio lo studioso di ufologia.

I due studiosi, infatti, propongono come evidenza storica degli airglows un gruppo di testimonianze risalenti addirittura alla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e ai suoi “soli notturni”, passando da episodi del XVIII secolo, per giungere infine all’identificazione dei caratteri distintivi del nostro fenomeno, cosa che accadde negli ultimi decenni del XIX secolo.

Ora, i pochi ufologi di orientamento scientifico hanno imparato da tempo a collocare in modo corretto i documenti che parlano di fenomeni aerei insoliti nel passato. Per questo scuotono il capo quando sentono parlare di “presenze aliene” del tempo che fu.

Tuttavia, proprio per questa esperienza e per questa capacità, a volte guardano con perplessità le attribuzioni a fenomeni in via di chiarimento (come nel caso degli airglows, appunto) di certe testimonianze remote, magari appartenente a contesti culturali e letterari molto particolari, distanti dai nostri, fatte da studiosi di ambito universitario.

Anche oggi, il consiglio di questa prudenza nell’etichettamento delle testimonianze “insolite” lontane nel tempo e l’offerta di questo nostro discernimento potrebbe tornare utile ad alcuni studiosi di scienze della natura.

 

Domenica 14 maggio: vistosi fenomeni di alone solare e parelio sull’Italia e sulla Francia

Nel corso della giornata di domenica 14 maggio 2017 –  a quanto pare in alcuni casi sin dalla primissima mattinata – ampie parti del territorio italiano e il sud-ovest della Francia sono stati interessati da vistosi fenomeni di alone solare, almeno in un caso (a Cagliari) accompagnati dalla presenza di un parelio.

Pur non avendo in alcun modo carattere anomalo (si tratti di eventi dovuti alla rifrazione della luce solare su frammenti di ghiaccio esagonali, luce diffusa poi in direzione uniforme in modo da formare un cerchio più o meno completo) l’attenzione per la fisica dell’atmosfera e per le possibili cause di equivoco da parte del pubblico è motivo di attenzione per il Centro Italiano Studi Ufologici.

A quanto pare già al mattino, a Cagliari il fenomeno si era presentato accompagnato da un parelio, sia pure poco netto.

Il grosso delle osservazioni però è iniziato alle 12. Il fenomeno è poi diventato più vistoso nella prima metà del pomeriggio. Nel nostro Paese risultano segnalazioni dal Piemonte, dalla Lombardia, dall’Emilia e dal Molise, ma è plausibile che tutto il versante occidentale italiano ne sia stato interessato.

Verso le 15 l’alone era visibile da tutta Torino. Nel pomeriggio sono seguite riprese meravigliose, come quella fatta da Paolo Demaria sopra Entracque (Cuneo), al lago delle Rovinema foto sono state fatte anche a Candiolo (Torino), Camino (Alessandria) , nella stessa provincia, a Odalengo Piccolo ad opera del “Gruppo Astrofili Cielo del Monferrato”, a Milano e a San Colombano al Lambro  ed anche a Castelnuovo Rangone (Modena) , ma a metà giornata un altro era visibile sopra Toro (Campobasso).

L’elenco potrebbe continuare a lungo. Aggiungiamo qui solo due immagini: quella qui in evidenza, scattata alle 16.58 da Pinerolo (Torino) da chi ha redatto questa notizia e, qui sotto, quella fatta a Cuneo intorno alle 16.40 da Sofia Lincos, del CICAP (a scanso d’equivoci: quello rossastro visibile sulla destra dell’astro è un flare provocato dalle lenti della fotocamera…).

 

Da parte sua anche il CICAP ha prontamente pubblicato sulla sua testata Query online un articolo che v’invitiamo a leggere a complemento di questo intervento.

STEVE non è un UFO, però…

STEVE non è un UFO.

Però STEVE è un fenomeno ottico dell’alta atmosfera, a quanto pare nemmeno troppo raro, di cui fino a poco tempo fa nessuno si era reso pienamente conto, malgrado le innumerevoli osservazioni, esperimenti e studi di fisica atmosferica condotte ogni anno.

STEVE è sigla delle parole Strong Thermal Emission Velocity Enhancement, usate per descrivere un fenomeno luminoso prodotto  da gas atmosferici che si trovano a circa 300 chilometri di altezza e la cui temperatura si aggira sui 3000 °C .

E’ in quella zona dello spazio circonvicino alla Terra sopra le regioni del mondo poste alle latitudini del Canada centrale che sono stati visti formarsi gli STEVE, grandi fasce luminescenti che si muovono a circa sei chilometri al secondo.

STEVE è largo 25-30 chilometri, si distende sempre in direzione est-ovest e può esser lungo molte centinaia di chilometri. Può durare anche un’ora e d’inverno non è visibile. A volte presenta una forma che ricorda una staccionata.

Quel che interessa dal punto di vista dell’ufologia scientifica sono le modalità con le quali si è giunti a verificare l’esistenza di STEVE e – poi – a spiegarla nell’ambito dei modelli  correnti della fisica dell’alta atmosfera.

Alcune persone raccolte intorno all’Alberta Aurora Chasers, un gruppo di  canadesi appassionati di astronomia e in modo particolare di aurore boreali ha cominciato a registrare le osservazioni visive di questo strano fenomeno che genera luci verdi e rossastre. In un primo momento pensarono a una manifestazione speciale delle cosiddette aurore boreali di protoni, ma questo fenomeno non è mai risultato visibile ad occhio nudo e la possibilità di ricondurlo ad esse decadde.

A questo punto, nel 2016, la diffusione attraverso il gruppo Facebook  dell’Alberta Aurora Chasers delle notizie sulle osservazioni richiamò l’attenzione di altri appassionati di aurore e di vari astrofili. Furono così raccolte almeno cinquanta testimonianze dettagliate di questo nuovo fenomeno.

In questo modo la cosa è giunta all’attenzione della NASA, dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Calgary (Canada). In questo modo è stato possibile impiegare i tre satelliti del cosiddetto progetto SWARM destinato allo studio del campo magnetico terrestre per validare l’esistenza del fenomeno descritto in un primo tempo in modo casuale e intermittente.

Non è ancora del tutto chiaro se STEVE debba essere considerato una variante dell’aurora boreale o qualcosa di diverso da essa, ma quel che colpisce l’ufologo di orientamento scientifico è questo:

osservazioni ottiche di tipo empirico, non strutturate, fatte nell’ambiente naturale e non in un contesto di laboratorio da parte di gruppi di persone con adeguata capacità di descrizione e registrazione dei dati hanno attirato l’attenzione del mondo accademico, che ha messo a disposizione risorse, competenze e modelli teorici per cercare di verificare la natura di quelle osservazioni e di valutare se fosse necessario considerarli indizi di un fenomeno finora ignorato.

Questo circolo virtuoso pare aver prodotto ciò che l’ufologia scientifica ritiene possibile (non certo, al momento): un ampliamento (anche di portata contenuta) delle nostre conoscenze nelle scienze della natura a partire da osservazioni incidentali di fenomeni atmosferici.

E’ possibile che quanto sta accadendo con STEVE possa un giorno avvenire anche per i cosiddetti fenomeni UFO?

Nell’attesa, ecco STEVE in tutta la sua bellezza in una serie di video e foto. Nell’immagine in evidenza qui sopra, il fenomeno ripreso il 29 giugno 2016 a Kakwa, nell’Alberta canadese, dal mineralogista Catalin Tappardel. Credit: CalgaryHerald.com)

 

 

Un anello fatto di nuvole nel cielo di Forlì? Com’è possibile?

La mattina di giovedì 16 marzo in parecchi hanno notato nel cielo di Forlì e hanno poi commentato con stupore sui social network la presenza di un anello di nuvole rimaste a lungo a disegnare delle forme ad anello quasi perfetto nel cielo limpidissimo.

Non sono mancate le ipotesi fantasiose e – inevitabilmente – quelle concernenti il passaggio di un UFO.

In realtà il fenomeno era dovuto alla scia di condensazione di aerei dell’Aeronautica decollati dalla base di Cervia (Ravenna) per delle esercitazioni e che avevano manovrato a lungo sul forlivese.

L’occasione però è stata buona perché il sito locale ForlìToday ha dato un esempio di giornalismo serio cogliendo l’occasione per interpellare il meteorologo Pierluigi Randi, di Meteocenter ed Emilia Romagna Meteo, che ha spiegato in sintesi i complessi meccanismi fisici di formazione delle scie dei velivoli e in particolare le differenze fondamentali rispetto alla nascita delle nubi di origine naturale.

Randi ha anche illustrato i motivi per i quali alcune scie dovute a velivoli di passaggio durano per brevissimi periodi di tempo ed altre invece permangono quasi inalterate assai a lungo, magari disegnando sagome sorprendenti come nel caso forlivese del 16 marzo.

Qui sopra vedete una foto tratta dall’articolo pubblicato da “ForlìToday” lo stesso 16 marzo.

Il fenomeno è stato comunque notato anche da varie parti della Romagna.

Citiamo qui Randi per la completezza delle sue parole e lodiamo “ForlìToday” per la volontà di illustrare al suo pubblico le cose senza cedere a tentazioni pseudoscientifiche di sorta:

“Le diverse modalità di “comportamento” delle scie nasce dal fatto che per potersi avere la loro formazione è indispensabile che la quantità di vapore acqueo presente negli strati d’aria attraversati dal velivolo sia sufficientemente vicina al punto di saturazione calcolato rispetto all’acqua liquida. Per avere scie persistenti è importante che la quantità di vapore acqueo presente sia in eccesso rispetto alla quantità necessaria per renderla satura rispetto al ghiaccio. Molti studi hanno mostrato come l’esistenza di moti verticali nei volumi d’aria dove avviene il rilascio dei gas di scarico favorisca in maniera significativa (dal 16% all’84 % dei casi) la formazione, persistenza ed espansione delle scie di condensazione; inoltre la relativa abbondanza di vapore acqueo nell’ambiente ove i gas di scarico vengono rilasciati sia di notevole importanza per permettere la formazione e la persistenza delle scie di condensazione; infine la dinamica dei vortici d’aria che si creano nella scia degli aerei in volo permette di spiegare l’intermittenza nel tessuto delle scie di condensazione. Quindi nulla di anomalo o di strano, le condizioni termodinamiche della troposfera erano alquanto favorevole alla formazione di tali scie”.