COMUNICATO STAMPA
Tempo sereno a Pendleton, Oregon, il 24 giugno 1947.
All’aeroporto una folla di curiosi attendeva l’arrivo di un pilota, un imprenditore di Boise, Idaho, che aveva visto qualcosa di insolito. Il suo nome era Kenneth Arnold. Raccontò che verso le tre del pomeriggio un lampo illuminò il suo aereo. Scrutando il cielo, si accorse della presenza, nei pressi del Monte Rainier, di nove velivoli disposti in formazione. Pensò ad aerei a reazione, ma non avevano coda. Assomigliavano a piatti tagliati a metà, mentre uno, più scuro degli altri, pareva una mezzaluna. In base ai riferimenti presi in volo, Arnold ne calcolò la velocità: 2000 km/h, un valore impensabile per l’epoca.
Riferendosi al movimento degli oggetti, li descrisse «come piatti che rimbalzavano sull’acqua». Un dispaccio dell’agenzia Associated Press fu battuto dal reporter Bill Bequette che, equivocando le parole di Arnold, utilizzò l’espressione flying saucers, cioè “piatti volanti”.
Nel giro di poche ore la storia fece il giro del mondo. Avvistamenti di flying saucers, da noi meglio noti come dischi volanti, iniziarono a proliferare ogni dove (il primo avvistamento nostrano di disco volante avvenne il 6 luglio nei cieli di Roma). Qualunque cosa fossero i nove oggetti visti da Arnold, miraggi, aerei supersonici sperimentali, meteore diurne o pellicani bianchi, era nata l’era moderna degli UFO, come preferì definirli poco dopo l’Aeronautica militare statunitense.
Ma in molti pensavano che la “discomania” non sarebbe durata a lungo. Tra questi lo stesso Orson Welles, che nel ‘38 aveva terrorizzato gli americani con l’adattamento radiofonico della Guerra dei mondi. «La gente è fantasiosa e ingenua», dichiarò alla stampa il 6 luglio. «Scommetto dieci contro uno che presto tutta questa storia si sgonfierà».
Invece il concetto di disco volante fece subito presa sul pubblico tant’è che nell’agosto del 1947, a distanza di poco più di un mese dal primo avvistamento, un sondaggio di opinione condotto dall’Istituto Gallup fece risultare che il 90% della popolazione adulta americana ne aveva già sentito parlare. Il nuovo termine era semplice, così familiare che ognuno poteva visualizzarlo, e la sua comparsa massiccia sulla stampa gli fornì subito autorità. Orson Welles perse la scommessa. La storia non si sgonfiò, anzi, i dischi volanti continuarono ad apparire.
Sino all’avvento del terzo millennio, quando i dischi volanti, quelli classici, “dadi e bulloni” per intenderci, sono pressoché scomparsi. In Italia, ma anche nel resto del mondo, negli ultimi anni gli avvistamenti di UFO sono diminuiti.
Ad esempio, secondo i dati raccolti dal Centro Italiano Studi Ufologici, – che per il 2016 ha schedato poco più di 500 segnalazioni in Italia, a fronte delle 25.000 totali avvenute a partire dal primo dopoguerra – si riscontra una sensibile diminuzione degli avvistamenti in pieno giorno di “oggetti” più o meno strutturati ed ancor più degli Incontri Ravvicinati, passati dal 16% (valore medio nel periodo 1947-1990) al 2% degli ultimi anni, mentre quelli del Terzo Tipo, resi celebri dal film di Spielberg, sono pressoché scomparsi.
Restano invece costanti intorno al 70% i casi di “luci” osservate a distanza, che tuttavia trovano spesso una spiegazione coerente in errate interpretazioni di comuni fenomeni ottici/astronomici, satelliti, meteore o aeromobili.
Malgrado non svolazzino più nei nostri cieli, i dischi volanti spopolano sui social e in tutta la cultura popolare, dai fumetti alla letteratura per ragazzi, dal cinema alla musica, dall’arte alla pubblicità. youtube e altri canali tematici straripano di filmati di fantasmagorici UFO o sfuggenti creature aliene al 99,99% veri e propri “fake” creati con programmi di videografica digitale.
A distanza di 70 anni, i dischi volanti sono una costante presenza nel nostro quotidiano, ma probabilmente dicono più cose su di noi che su ipotetiche creature provenienti da altri mondi.
INFO:
Paolo Toselli, 339.8564090, ptoselli@tin.it
Edoardo Russo, 011.538125, edoardo.russo@libero.it