La guerra dei mondi di Welles? Niente panico nel 1938 – ma lo sapevamo da un pezzo!

Solo di recente, con grande ritardo, sui media italiani – in particolare il 1 settembre su Wired.it – grazie a Stefano Dalla Casa – e sull’edizione cartacea del settimanale Internazionale del 22-28 settembre – grazie al giornalista Giovanni De Mauro è giunta l’eco di un libro dello storico americano A. Brad Schwartz,  Broadcast Hysteria. Orson Welles’s War of the World and the art of fake news (edizioni Hill and Wang), uno studio molto articolato che nel 2015 ricostruiva con rigore ciò che accadde negli Stati Uniti la sera del 30 ottobre 1938 (siamo all’anniversario!), quando fu messa in onda la celeberrima trasposizione radiofonica di Orson Welles de La guerra dei mondi di H. G. Wells.

Nel suo libro, Schwarz dimostra attraverso una gran quantità di fonti d’archivio che quella sera negli Stati Uniti non vi fu quasi nessuna reazione di spavento e tanto meno il presunto panico collettivo per il quale quel dramma radiofonico è passato alla storia sociale e dei mass media.

Furono i quotidiani, nei giorni successivi, ad ampliare a dismisura la sensazione che quella sera nel nord-est degli Stati Uniti vi fosse stato il caos. Schwarz mostra che l’aspetto più interessante di questa vicenda è il dibattito che accompagnò e seguì il clamore che il racconto sull’invasione marziana aveva suscitato: con i regimi dittatoriali sovietico e nazista al culmine del potere l’idea generale era che la capacità di plasmare l’opinione pubblica attraverso radio e cinema fosse illimitata e che la trasmissione di Welles fosse una conferma della validità dei primi modelli di teorie sociologiche delle comunicazioni di massa (quelli che nella storia della sociologia sono note come “teorie ipodermiche”).

La convinzione diffusasi di un effetto clamoroso della trasmissione di Welles influenzò alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale anche alcune iniziative legislative volte a controllare ad opera delle autorità il contenuto delle fiction radiofoniche. Sul piano scientifico, il lavoro più noto del tempo, The Invasion from Mars, A  Study in Psychology of Mass Panic, libro dello psicologo Hadley Cantril, uscito meno di due anni dopo il fatto, diede legittimazione accademica all’idea del panico generalizzato.

Spezziamo però una lancia a favore dell’ufologia seria. Alcuni scienziati sociali che sono (o sono stati, nel corso del tempo) anche ufologi avevano compreso a sufficienza già da parecchio quello che poi Schwarz ha chiarito ulteriormente.

E’ il caso del sociologo Robert E. Bartholomew, che ha all’attivo numerosi saggi di storia dell’ufologia. Già nel 2001, nel suo libro Little Green Men, Meowing Nuns and Head Hunting Panics e poi in lavori successivi Bartholomew era stato chiaro a sufficienza.

Nel 2005, con il libro La guerre des mondes a-t-elle eu lieu? (e poi nel 2009 su Le Monde Diplomatique), un altro sociologo e lui stesso studioso di ufologia, il francese Pierre Lagrange,  argomentava per conto suo come il mito del panico di massa del 1938 aveva probabilmente l’avvio a causa della copertura sensazionalistica dell’episodio dovuta a un articolo comparso il 31 ottobre su un giornale autorevole, il “New York Times”.

Un punto da sottolineare è che sin dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso la radiotrasmissione di Welles costituisce uno dei miti fondanti del complicato mondo del cospirazionismo ufologico.

Infatti, un ragionamento fatto per analogia già cinquanta anni fa e persino da ufologi “moderati” quanto a convinzioni sulla possibile natura extraterrestre degli UFO, sosteneva che quando i dischi volanti comparvero nei cieli, nel 1947, il supposto panico americano del ’38 doveva esser servito da modello alle autorità di Washington per imporre una censura sul fenomeno motivata soprattutto da considerazioni di ordine pubblico: l’ammissione della presenza nei cieli di velivoli di altre civiltà avrebbe causato la disintegrazione del quadro sociale.

Questo argomento retorico usato da parte degli ufologi per sostenere la tesi della “congiura del silenzio” ha una sua storia precisa ampiamente documentabile ma, soprattutto, sul piano fattuale oggi sappiamo che il programma di Welles non generò nessuna psicosi su grande scala.